“È evidente che sono giunta ad uno stato di angoscia insuperabile. Mi sento una donna profondamente ferita nella sua sensibilità e nella sua stessa dignità che era andata incontro alla vita con la più sincera idealità e fiducia e quando ha cominciato ad affrontare gli spigoli della vita si è trovata impreparata.”
Da “La storia che ha commosso il mondo”
Nei primi anni Settanta del ‘900 la comunicazione di massa si indirizzò verso forme espressive legate al corpo e al linguaggio gestuale mediante tecniche diverse, come la fotografia, il libro d’artista, il video, la performance. Gli artisti ricercarono un linguaggio più diretto, che esprimesse la ricostruzione dell’identità individuale.
Già il periodo precedente, tra gli anni Sessanta e Settanta, rappresentò un momento in cui la partecipazione delle donne italiane nelle arti divenne più ampia.
Una figura interessante è quella di Gaetana Ketty La Rocca (1938-1976), artista che nel suo lavoro ha esplorato le potenzialità del linguaggio e della comunicazione come mezzo per addentrarsi nella ricerca dell’identità.
Nata a La Spezia, presto abbandona la città natale per trasferirsi prima a Spoleto e poi a Firenze dopo gli studi magistrali nel 1956. Al conservatorio Luigi Cherubini segue i corsi di musica elettronica di Pietro Grossi, lavora in uno studio radiologico e insegna alle scuole elementari. Qui scrive anche le sue prime poesie.

L’artista elabora, (in un’interpretazione ironica del femminismo), un nuovo impatto linguistico e visivo. Le sue immagini infatti sono realizzate da figure femminili tratte dalla pubblicità di consumo, poi accostate a testi spiazzanti, con un’allusione alla mercificazione della donna. L’attenzione alla condizione femminile nella società ancora patriarcale è un tema costante nel suo operato. Il modello che contesta è quello che definisce la donna solo come sposa e madre.
Se consideriamo i lavori realizzati tra il 1964 e il 1965 come “Non commettere sorpassi impuri”, “Lei sceglie, porta a casa”, “Vergine”, “Sana come il pane quotidiano”: sono opere in cui a frasi slogan l’artista associa immagini di forte impatto visivo.
La Rocca si fa gioco dei cliché convenzionali dell’epoca e accusa il processo di mercificazione del corpo femminile.
A Firenze collabora con il Gruppo 70 nell’ambito di un’avanguardia italiana nota come poesia visiva.
Compone collage ritagliando da giornali e riviste immagini fotografiche e scritte incollandole su fogli bianchi o neri. I suoi collage sono organizzati come slogan pubblicitari che mettono in relazione parole e immagini in cui emerge l’attenzione per la condizione femminile, precorrendo le lotte femministe come il Manifesto di Rivolta Femminile di Carla Lonzi.
Con la poesia visiva l’artista decontestualizza immagini e parole e ricrea un nuovo senso.
Lasciato presto il Gruppo 70, continuerà a farlo con le lettere giganti che diventano presenza tridimensionale, travalicano la pagina e trovano spazio nel mondo diventando reali.
È la fine degli anni 60 e l’esplorazione si sofferma sul linguaggio ispirato alla segnaletica stradale o sulle singole lettere.
Nascono giganteschi monogrammi in pvc nero.
Prevalgono le lettere che rimandano alla prima persona singolare: Io.
L’io diventa presenza, non più solo concetto astratto.
Invade lo spazio e riafferma se stesso. Si accompagna successivamente al “Tu”.
D’ora in poi l’opera di Ketty è un’analisi della comunicazione e del linguaggio alla ricerca di una possibilità di trasmissione autentica di sé.
Nella performance “Le mie parole e tu” del 1975 l’artista legge un testo senza significato, mentre gli spettatori pronunciano la parola tu, you.
L’intento è anche quello di coinvolgere lo spettatore nell’opera. Ad esempio, anche in “Specchi”, l’installazione riflettente ha bisogno del passaggio dello spettatore per attivarsi e diventare opera.
Ricorrono spesso i testi nonsense. L’intento è polemico e ironico, per dimostrare che la lingua non è comunicazione autentica perché è diventata convenzionale, omologata, priva di senso appunto.
Perciò Ketty si dedicherà all’esplorazione di linguaggi non verbali.
Nel 1971 nasce “In principio erat”, un libro di fotografie in bianco e nero di mani che compiono dei gesti quasi rituali. Dal volume prende origine il video “Appendice per una supplica”, presentato alla Biennale di Venezia del 1972, in cui l’artista restituisce vita alle mani ritratte nel libro.
Ora l’artista mette il proprio corpo al centro della sua ricerca espressiva.
Volti e mani esprimono una comunicazione autentica.
Il percorso poetico e artistico di Ketty dunque parte dalle parole, passa a concentrarsi sulle singole lettere e poi si focalizza sul gesto.
La società italiana del dopoguerra vive nel boom economico seppur restando fortemente legata ai sistemi tradizionali della famiglia.
In questa realtà l’immagine diventa una presenza costante nella vita delle persone: cinema, televisione e soprattutto pubblicità opprimono la società, modificandone gusti e percezione.
Qui si inserisce la ricerca artistica femminile di Ketty La Rocca, laddove è necessario ridare la vera identità alla donna, allontanandola dallo stereotipo commerciale.
Links
Ketty La Rocca, bio e opere
https://it.wikipedia.org/wiki/Ketty_La_Rocca
Carla Ferraris
https://lachipper.com/cose-la-chipper/
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